Lo scorso 26 novembre, durante un convegno organizzato presso l’Istituto Agrario di Todi dal titolo “Grero di Todi: vitigno identitario”, è stato fatto il punto sulle ricerche e le sperimentazioni sul Grero, un vitigno autoctono riscoperto una decina di anni fa nel territorio tuderte.
Tale vitigno, di cui si era totalmente interrotta la coltivazione e persa memoria, è tornato all’attenzione della comunità scientifica che ne ha intrapreso l’analisi e lo studio rivelando sorprendenti risultati.
La vite, a bacca rossa, è stata riscoperta da Alessandro Carletto dell’Università di Perugia, il quale, durante le sue ricerche di “archeologia vegetale” ne rinvenne un esemplare nelle campagne intorno Todi e precisamente a Romazzano, nell’Azienda Agricola di Aba Cercato. La pianta “ritrovata” è una vecchia vite di 35 cm di fusto; è da questo punto che la storia ha inizio.
Da questa vite (la pianta madre), sono stati riprodotti degli esemplari coltivati da tre aziende agricole del territorio: la Cantina Todini, la Cantina Zazzera e l’Istituto Diocesano Sostentamento Clero, le cui uve sono state lavorate all’interno dell’Istituto Agrario di Todi; Istituto Agrario che ha, esso stesso, messo a dimora degli esemplari di Grero nel suo piccolo campo che racchiude e cataloga antiche varietà di viti umbre.
Una volta appurata l’unicità della specie, si è provveduto a registrarla, come nuovo vitigno autoctono umbro, presso il R.N.V.V. (Registro Nazionale Varietà di Vite) con il nuovo nome di “Grero” che racchiude la sintesi tra le parole “Greco nero”, come, in alcuni documenti del XIX secolo, veniva denominato tale vitigno.
La coltivazione delle viti e la realizzazione delle prime bottiglie di Grero hanno rivelato che tale vitigno racchiude grandi potenzialità. La pianta ha una resistenza molto elevata alle malattie, ed il vino ha le carte in regola per diventare una punta di eccellenza nel panorama dei grandi vini umbri, la cui riscoperta permette di aggiungere un altro importante tassello alla nostra identità territoriale.
Ma come mai i nostri avi decisero di non coltivare più il Grero? E potrebbe, questo vitigno, pur non essendo prettamente tuderte (ne sono stati individuati alcuni esemplari ad Amelia), anche se a Todi si conserva la pianta madre, diventare per Todi ciò che il Sagrantino rappresenta per Montefalco in termini di identità territoriale, prestigio, promozione eno-turistica e via dicendo?
Probabilmente la scarsa resa, in senso quantitativo, ha spinto i contadini dell’epoca ad optare per vitigni più produttivi del Grero, abbandonandone la coltivazione, deficit che la tecnologia e la ricerca scientifica attualmente disponibili sono certamente in grado di rimediare.
E’ da questo momento che tutti gli operatori del territorio sono tenuti a fare un cambio di marcia. L’amministrazione in primis deve incoraggiare e sostenere, e le cantine investire, come hanno fatto quelle già coinvolte, nella coltivazione del Grero, che a tutt’oggi conta un numero di piante veramente risibile.
Molto c’è da lavorare per ottenere un vino di eccellente qualità, ma i presupposti ci sono tutti: un colore rosso intenso con riflessi violacei che persiste nel tempo, un’alta intensità e complessità aromatica, un aroma fruttato con un intenso sentore di frutti rossi e un’alta acidità. Certo le scelte dei singoli enologi faranno la differenza, a partire dalla scelta delle piante porta innesto a quella dei lieviti e degli enzimi, fino alle botti per l’invecchiamento; il cammino quindi, è ancora lungo.
Il Grero è un vitigno fortemente identitario del nostro territorio ed è un’opportunità che ci viene regalata dal nostro passato. Abbiamo gli strumenti, le possibilità e le capacità per far sì che possa tradursi una grande opportunità di sviluppo per il nostro futuro: a chi di dovere mettere in campo risorse, sinergie, traguardi condivisi e volontà politica per rendere tutto questo una splendida realtà.
Benedetta Tintillini